Gone Baby Gone di Dennis Lehane: romanzo e film a confronto
Oggi vi proponiamo un articolo scritto a quattro mani. La modalità è esattamente la stessa che abbiamo usato per la stesura di Westville. Tempo fa, durante una conversazione sui legami tra cinema e letteratura noir, abbiamo scoperto che uno di noi aveva appena visto il film Gone Baby Gone, tratto dall’omonimo romanzo di Dennis Lehane. Casualmente, il romanzo era stato letto poche settimane prima dall’altro. L’idea di scrivere un articolo a quattro mani è venuta di conseguenza. Iniziamo però con alcune riflessioni generali sull’evoluzione del legame tra cinema e letteratura gialla.
Letteratura e cinema
La storia della letteratura è da sempre strettamente legata a quella del cinema. Innumerevoli romanzi sono stati portati sul grande schermo, con risultati non sempre all’altezza, a testimonianza tuttavia di come la letteratura spesso e volentieri sia in grado di fornire soggetti originali adatti a una trasposizione cinematografica. I risultati sono stati, come già sottolineato, non sempre soddisfacenti. Alcune pietre miliari della storia della letteratura americana hanno beneficiato di una trasposizione cinematografica inferiore al romanzo (si veda ad esempio Il Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald). In altri casi le pellicole sono arrivate a snaturare contenuti e significati, riducendo grandi romanzi a film trascurabili. Si prenda come esempio la pessima trasposizione cinematografica del masterpiece di Jack Kerouac On The Road. In altri casi i film tratti da romanzi hanno saputo ricreare le atmosfere del libro, a volte interpretandone i significati ma senza snaturarli. Film come Shining, Misery, Le ali della libertà o Stand By Me, sono esempi di pellicole di spessore, che hanno saputo onorare i relativi lavori di Stephen King, autore al quale il cinema si è spesso rivolto nel corso degli ultimi decenni.
Giallo, noir e legal thriller
Il giallo è probabilmente il genere letterario che più di tutti è stato saccheggiato dal mondo del cinema. Partendo dagli autori seminali del genere, da Agatha Christie a Conan Doyle, passando per i creatori dell’hard-boiled Raymond Chandler e Dashiell Hammett, fino ad arrivare ai recenti John Grisham – maestro del legal thriller – Jeffrey Deaver e James Ellroy: il giallo in tutte le sue forme e varianti ha saputo fornire trame originali, intriganti, sorprendenti, perfette per una versione cinematografica. Non c’è affermato autore di gialli che non sia stato portato sul grande schermo, con almeno un’opera. E si può affermare che il risultato finale è spesso stato all’altezza del originale letterario.
Gone Baby Gone: il romanzo
Il bostoniano Dennis Lehane figura senza dubbio tra gli scrittori contemporanei dalle cui opere sono stati tratti numerosi film, anche di grande successo. Shutter Island, La legge della notte, Mystic
River sono tutti nati dalla sua penna. Allo stesso modo di Gone Baby Gone, pubblicato in Italia nel 1998 con il titolo di La casa buia. Ci troviamo di fronte a un noir/thriller di ottima fattura, sia per quanto riguarda lo sviluppo dell’intreccio, che per la maestria di Lehane di alternare punti di vista differenti e snocciolare colpi di scena a ripetizione.
La piccola Amanda McCready, bimba di quattro anni, scompare nel nulla, e i due detective Pat Kenzie ed Angie Gennaro vengono incaricati dagli zii della bimba di seguire il caso. Si scopre come la madre della piccola sia una donna degenerata, interessata forse più al risvolto mediatico del rapimento della figlia che preoccupata per le sorti della bimba, che al momento del rapimento si trovava in casa da sola, mentre la madre faceva baldoria in un bar. I due detective, compagni anche nella vita privata, iniziano a indagare con l’aiuto di Remy Broussard e Nick “Poole” Raftopoulous, una coppia di poliziotti seri e preparati. Si scopre immediatamente come la madre di Amanda e il suo compagno abbiano rubato una grossa somma di denaro a uno spacciatore locale, ritrovata dai quattro investigatori in una casa nei bassifondi della città assieme a due cadaveri. Arriva quindi una richiesta di riscatto, con l’organizzazione di un incontro che sfocerà in un violento scontro a fuoco. I soldi ritrovati verranno recuperati dai rapitori, mentre sul luogo della sparatoria viene ritrovata una bambola di proprietà di Amanda, un segno forse della sua morte. La storia sembra conclusa, ma si tratta invece di uno degli innumerevoli finali forniti da Lehane. Il rapimento di Amanda non è la conseguenza di un semplice regolamento di conti tra spacciatori, ma è la punta dell’iceberg di un giro di corruzione che tocca anche la polizia di Boston.
Gone Baby Gone si inserisce perfettamente nella migliore tradizione noir/thriller grazie a una scrittura incalzante ed efficace, una sapiente alternanza di azione e dialogo, un cambiamento continuo di prospettive e un finale sorprendente che lascia sbalorditi. Inoltre, Lehane è abile nella costruzione di un setting cupo, pericoloso, concretizzato in una Boston malfamata, corrotta, ma al tempo stesso affascinante.
Conosciamo meglio l’autore
Abbiamo già parlato di Lehane in altri articoli, quindi ci limiteremo a linkarvi questa interessante intervista di The Talks, in cui fin dalle prime risposte esce lo spirito creativo di questo autore profondo.
Gone Baby Gone: il film
Tutti vogliono la verità… fin quando non la trovano. (tag line del film)
Appassionato di film noir anche moderni, capita di trovare delle perle davvero notevoli, specie se si è abituati a girare tra i vari Netflix, Google Play, Microdoft Store e via discorrendo. Chi è sprovvisto di televisione (come il sottoscritto) lo sa bene, la ricerca del film perfetto può richiedere del tempo.
Non per ripetersi, ma nelle trasposizioni cinematografiche si incappa sempre nei pericoli di una sceneggiatura troppo frettolosa. Questo tasto dolente lo si percepisce sempre più spesso in pellicole che si basano su romanzi articolati, intricati, dove per economia temporale vengono apportati dei tagli sostanziali all’intreccio o alla psicologia dei personaggi.
In Gone Baby Gone si ha la sensazione che il film riesca a mantenere un ritmo sempre incalzante, e l’escalation di scoperte da parte di Patrick (Casey Affleck) porti sia il protagonista, sia lo spettatore, ad un piano di consapevolezza sempre differente.
Come in altri film tratti da storie dello stesso autore, come Live by Night (La legge della notte), uno degli aspetti più interessanti è il continuo cambio di scenario, e di registro, dovendo il protagonista rapportarsi con persone di diversa estrazione sociale. Possiamo dare il merito a questa miscela di fotografia sapiente alla regia di Ben Affleck, che ha ormai trovato un suo equilibrio dietro la macchina da presa.
Lo sfondo di una Boston fredda e violenta accompagna il percorso psicologico di Pat. Il protagonista di questo noir si muove fin da subito agilmente tra la malavita di Boston, ma sarà la presenza di un elemento innocente, la bambina appunto, a rimettere in gioco la sua stessa morale.
Si può dire che il film basa la sua forza proprio sul concetto di “fare la cosa giusta”, tralasciando forse un po’ l’indagine. La stessa risulta talvolta forzata, e concentra la sceneggiatura sull’importanza che i vari personaggi danno alla vita della bambina.
Nel caso di Gone Baby Gone c’è un forte elemento che disturba la visione: la presenza della compagna e socia di Pat. L’attrice Michelle Monaghan non riesce proprio a convincere, ma probabilmente la colpa è da imputare a tagli netti alle parti previste per il personaggio di Angie. La donna viene relegata al classico stereotipo maschilista della donna fragile. La detective non lavora, non vuole lavorare, consigliando più volte al compagno di mollare il caso, passando più tempo ad asciugarsi le lacrime per la situazione tragica, che rimboccandosi le maniche. Il risultato è un personaggio noioso, stereotipato e volto a riempire buchi di narrazione dovuti più alla sua ingiustificata presenza, che alla trama perfettamente consistente anche senza di lei.
Note di merito sono le collaudate star Morgan Freeman e Ed Harris, che svolgono il loro lavoro con maestria, in particolar modo quest’ultimo, calato in personaggio con una potente carica emotiva.
Infine possiamo elogiare l’attrice Amy Ryan, interprete della mamma della bambina, la tossicodipendente Helen McCready. Il suo interesse per la vita in generale è proporzionale al suo egoismo, e le crisi isteriche dell’attrice sono più che convincenti.
La pellicola del 2007 è in definitiva un ottimo noir, forte di un’ambientazione accattivante e una fotografia magistrale, con un cast che ha svolto egregiamente il mestiere e una regia creativa. A confermare l’etichetta di noir, un finale che non ha solo la funzione di colpo di scena inaspettato, ma anche il sapore amaro di un lieto fine che non è propriamente da considerarsi tale.
Ci sentiamo quindi di consigliarvi sia di leggere il libro che visionare la pellicola, prestando attenzione sicuramente all’intreccio, ma anche all’aspetto emotivo e psicologico dei personaggi.