Il lungo addio: quando il poliziesco diventa eterno
Provare a definire una data d’inizio di un genere letterario è opera complessa e in fondo pressoché inutile. Ogni movimento o corrente letteraria è un flusso di temi, situazioni, umori in continua evoluzione. Le basi gettate da uno scrittore vengono poi sviluppate da altri autori che non fanno altro che prendere in mano il testimone e spostare più avanti i paradigmi di un genere, adattandoli agli sviluppi storico sociali del mondo, che di fatto è la base per qualsiasi tipo di letteratura. Il materiale umano è infatti l’ingrediente fondamentale e comune di qualsiasi tipo di letteratura, e la letteratura stessa non fa altro che indagare l’uomo in tutti i suoi aspetti.
Noir, hard-boiled e via discorrendo
Abbiamo già esaminato le differenze tra le varie correnti di letteratura poliziesca in un articolo di alcuni mesi fa. Se c’è una cosa comune tra tutti questi generi è la figura del protagonista. Non importa che sia un investigatore privato, un poliziotto, un criminale, un fuorilegge o una persona normale. Quello che importa sono i tratti in comune che questi protagonisti possiedono. Per capire le radici di questo discorso, è necessario tornare indietro nel tempo, più precisamente agli anni ’30 del secolo scorso.
Chandler e Philip Marlowe
I prototipi di protagonista di romanzo poliziesco devono essere ricercati nei lavori di Dashiell Hammett, Mickey Spillane e soprattutto Raymond Chandler. Autori importantissimi i primi due, assoluti must-read, ma secondo il giudizio di chi scrive, non al pari di Chandler, che ha portato l’hard-boiled alla sua dimensione definitiva, aprendo poi la strada alla nascita del noir e di tutti gli altri generi derivati.
Philip Marlowe rappresenta l’archetipo perfetto dell’investigatore privato, quello insomma che tutti noi abbiamo in mente quando si parla di poliziesco. Un uomo quasi quarantenne, quindi ancora giovane ma adulto e maturo, atleticamente prestante, accanito fumatore e bevitore di lungo corso. Un uomo solitario, sarcastico, coraggioso ma non sprovveduto, cinico, disilluso, freddo ma al contempo umano. Un uomo di mondo, abile a indagare nei bassifondi ma capace di comportarsi negli ambienti altolocati, perfettamente in grado di avere a che fare con i peggiori criminali ma abilissimo nel corteggiare una donna con classe, rispetto e affabilità. Tutto parte da qui, da Philip Marlowe e dalle sue storie. I romanzi di Raymond Chandler rappresentano un perfetto connubio di letteratura di genere creata per intrattenere, e grande fiction che va scavare nei meandri della psiche umana, analizzando al contempo le evoluzioni della società. Tra tutte le sue opere però, spicca Il lungo addio, sesto romanzo della serie, pubblicato nel 1953.
Il lungo addio
In questo romanzo Chandler raggiunge la sua personale vetta letteraria in termini di pregevolezza del soggetto e sviluppo dell’intreccio. Un puzzle di pezzi perfettamente combacianti, organizzati con una prosa di qualità altissima, nonostante la salute fisica e mentale dello scrittore fosse in quegli anni minata da un alcolismo ormai conclamato. La vicenda di Terry Lennox, dell’assassino di sua moglie Sylvia e di come questo mistero ricco di lati oscuri si leghi alle vite dello scrittore alcolizzato Roger Wade e della sua splendida moglie, non è il caso di parlarne. Il web è pieno di sinossi di questo romanzo.
Analizziamo piuttosto il suo protagonista. Marlowe è maturato con i romanzi in cui è protagonista, e ne Il lungo addio arriva al suo massimo splendore: sarcastico ai limiti del ricevere schiaffi, disilluso nei confronti della società ma al contempo profondamente legato ai suoi ideali: si veda ad esempio la tenacia con cui non tradisce l’amico Terry Lennox, a causa del quale passerà molte seccature, tra cui alcune notti in galera.
I cliché
Leggere questo romanzo oggi, al di là della bellezza stessa dell’opera, potrebbe far sorgere dubbi riguardo all’originalità dei personaggi e delle situazioni in esso contenute. In tal caso il consiglio è quello di provare a contestualizzare l’opera. Pubblicato nel 1953, Il lungo addio vanta quindi quasi settant’anni di vita. Settant’anni in cui il poliziesco è stato sviluppato in tutte le forme e dimensioni da centinaia di scrittori. Eppure quando s’immagina il prototipo d’investigatore privato, nella mente compare una figura che somiglia in tutto e per tutto a Philip Marlowe. Perché questo accade? Semplice. Perché tutto è partito da qui: le opere di Chandler appaiono ancora attuali settant’anni dopo e una figura come Philip Marlowe, ovviamente opportunamente aggiornata, sarebbe ancora credibile oggi, sia nella letteratura, che sul grande schermo.
Il lungo addio di Robert Altman
A questo proposito è doveroso ricordare la splendida opera cinematografica firmata da Robert Altman nel 1973. Il celebre regista ha portato sullo schermo Il lungo addio, trasportandolo però all’inizio degli anni ’70. Altman ha quindi utilizzato il romanzo e i personaggi principali come soggetto, ma ha modificato completamente l’intreccio, eliminando del tutto alcuni personaggi e stravolgendo il finale, e creando un’opera molto più dark, cupa, noir, quindi perfettamente inserita negli anni ’70.
Oltre alla pregevole fattura tecnica del film – che vede un bravo Elliott Gould impersonare in modo straordinario Marlowe – l’opera di Altman, seppur diversa dal romanzo, rappresenta un riadattamento perfettamente riuscito. Ingiustamente snobbato dalla critica, accusato di aver stravolto l’opera di Chandler, il film è stato poi rivalutato con gli anni e ad oggi è considerato dai fan di Altman una delle sue opere meglio riuscite. Semplicemente, all’epoca la critica non aveva colto il messaggio del film: Marlowe è un personaggio archetipico, seminale e sempreverde, che non passa mai di moda e può adattarsi a qualsiasi epoca. In una parola: eterno. Proprio come i romanzi di Raymond Chandler.
Alberto Staiz
foto di copertina: Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=619244